di Lorenzo Lazzeri
Una tematica che va per la maggiore in questo periodo (meglio tardi che mai) è certamente l’inquinamento ambientale nelle sue svariate sfaccettature. Oggi vorrei porre l’attenzione sugli oggetti in plastica che oramai stanno sommergendo il nostro pianeta. E’ notizia abbastanza recente che finalmente l’UE si sia decisa a vietare dal 2021 (così sembrerebbe) le plastiche monouso (posate, cotton-fioc, cannucce ecc..) e a regolamentare anche il materiale con cui saranno costituite le bottiglie in PET, che dovrà essere di origine riciclata per il 25% dal 2025 (sarebbero state preferibili tempistiche più stringenti).
Il trend di crescita della produzione di materie plastiche negli ultimi 30 anni è spaventoso: da circa 30milioni di tonnellate del 1988, a 335 milioni di tonnellate nel 2016. Colpa sicuramente di norme troppo permissive, ma molta responsabilità è da attribuire anche alle aziende che continuano a confezionare ed imballare troppo spesso in modo eccessivo e superfluo i loro prodotti.
Si stima che 10-15milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno finiscano nei mari. Il 20% di queste deriva da mezzi di trasporto e strutture presenti in mare come piattaforme petrolifere, navi da crociera, mercantili ecc. anche se vi sarebbero appositi regolamenti per la prevenzione dell’inquinamento navale (Marpol). Secondo alcune stime il rapporto tra plastica e pesce nel 2025 sarà di 1:3, nel 2050 invece ci sarà più plastica che pesce se non modifichiamo rapidamente e profondamente il nostro stile di vita.
Alcuni studi hanno evidenziato che nel Mediterraneo il 30% degli organismi marini di interesse commerciale è a rischio contaminazione da plastiche. Questo è un dei tanti capannelli che dovrebbero allarmarci relativamente a ciò che ingeriamo e quindi alle conseguenze che potremmo avere direttamente sulla nostra salute. Infatti le plastiche entrano nella catena alimentare (biomagnificazione) trasmettendosi (con un aumento della loro concentrazione) dagli organismi più piccoli e più in basso nella piramide trofica, come il placton, fino a quelli più grandi come pesci spada e tonni, fino all’uomo. Le plastiche maggiormente interessate in questo processo sono le microplastiche (dimensioni inferiori a 5mm) proprio per la loro facilità di ingestione anche accidentale da parte degli organismi.
Le specie minacciate dai rifiuti plastici, secondo uno studio sono circa 700. I ricercatori rivelano che il 90% degli uccelli marini (famose le immagini del fotografo Chris Jordan relative a carcasse di albatros con i corpi piedi di materiali plastici) hanno ingerito plastiche.
Gli animali marini possono ingerire plastica in modo accidentale, ma spesso anche in modo del tutto volontario perché la scambiano per cibo. Ad esempio dei sacchetti in mare possono assomigliare a delle meduse e per questo ingeriti dalle tartarughe. Secondo uno studio del 2016 (Marine plastic debris emits a keystone infochemical for olfactory foraging seabirds) potrebbe esserci altro: sopra la plastica crescono facilmente alghe che una volta in decomposizione emettono un odore di zolfo simile a quello emesso dal cibo (krill) di alcuni uccelli marini che vengono quindi tratti in inganno.
Siamo di fronte ad una sfida improrogabile occorre agire nell’immediato e ridurre drasticamente la produzione di plastica ed anche le piccole azioni quotidiane di ognuno di noi sono importanti per il conseguimento di tale fine.